Menu Menu
Cosa devo Fare

Cosa devo Fare

Cosa devo fare?” è la domanda ricorrente di chi posa di fronte ad un fotografo e non è abituato a farlo. Gli chiede come posizionarsi, dove guardare, come muoversi. Pensa che tutto dipenda da lui e che quindi non può permettersi di sbagliare. Si sente esaminato. Obiettivo e luci sono puntati su di lui e questo non lo aiuta a sentirsi a proprio agio.
Eppure “cosa devo fare?” è anche la domanda insistente di chi ritrae e non è abituato a farlo. Si chiede, allo stesso modo, come posizionarsi, dove guardare, come muoversi. Pensa, anche lui, che il gioco sia nelle sue mani e che una mossa sbagliata possa compromettere l’intero servizio. Si sente gli occhi del soggetto puntati addosso ed un senso di responsabilità che non facilita la sua naturalezza.
 
Facendo finta di nulla, quel giorno, sia io – fotografa – che loro – i soggetti – condividiamo del tempo e dello spazio non sapendo, appunto, cosa fare. Un tempo ed uno spazio, per intenderci, molto poco generosi: da un lato sapevamo che la concentrazione di tutti, sotto una tale tensione, sarebbe stata breve e quindi abbiamo concordato una durata ridotta; dall’altro la fotografia di ritratto implica una certa vicinanza fisica per la quale non si può temere di essere invadenti, tanto più quando si lavora in uno studio e con un fondale che hanno ben precise dimensioni.
A poco, penso, è servito raccomandarmi che si sentano liberi e rilassati e che immaginino di essere soli nella stanza; in più una sgradevole confusione comincia ad annebbiare tutte le nozioni tecniche e teoriche che pensavo di aver minuziosamente immagazzinato.
E così, ha inizio una lunga serie di scatti con sorrisi forzati su volti terrorizzati, mani intirizzite che si aggrappano alla sedia come in cerca di punti di riferimento, occhi chiusi ad ogni click, pose innaturali al limite del credibile.
Dal mio canto, non trovo corrispondenza tra il set di luci e macchina e le foto che mi mostra il display. Non ottengo ciò che mi aspettavo o, peggio, non so cosa aspettarmi.
Poi, senza che ci accorgiamo, l’atmosfera si fa più leggera e distesa: io mi muovo, loro si muovono...qualcosa nell’aria si muove, come fossimo guidati da una regia invisibile! Il ritmo è ora più serrato, ora più lento, alcuni scatti ci sorprendono, altri ci fanno divertire, altri ancora ci suggeriscono nuovi spunti.
 
Tempo scaduto. Ci ringraziamo e salutiamo.
Me ne vado con la stessa quantità di confusione con cui ero arrivata. Ma è una confusione diversa, sana, costruttiva. Non posso dire di aver imparato a fare qualsiasi ritratto, ma certamente di aver capito che, nonostante la strada sia ancora lunga, sono contenta di averla intrapresa così, con Gianni e Alvise.
Ebbene sì, in tutto ciò, oltre a me e a chi ha posato, Gianni e Alvise sono strati presenze costanti e fondamentali per reggere la situazione, dal punto di vista sia tecnico, aiutandomi a gestire il set, sia umano, scaldando abilmente il clima tra noi. Con la loro delicatezza da un lato e la loro competenza dall’altro, non mi hanno insegnato a come fare i conti con timidezza e imbarazzo, non mi hanno fornito la ricetta universale per lo scatto perfetto; mi hanno comunicato uno spirito, il loro modo di vedere, fare, vivere l’esperienza del ritratto, consapevoli e allo stesso tempo affascinati dal fatto che ognuna sia differente, nelle difficoltà e nelle soddisfazioni.
(articolo di: Francesca Vinci)
(photo Francesca Vinci)